Quello italiano è un popolo diverso dagli altri, ha bisogno dell’eroe e di un antieroe, del Masaniello e del nemico del popolo, del giudice integro e del mafioso da poter mettere alla gogna ma solo a fine carriera. È la metafora discendente o ascendente che ha visto fiorire il fascismo nel nostro Paese, stroncato la Prima Repubblica e contestualmente aizzato i fuochi dei populismi e dei giustizialismi italici.
L’affezione di un popolo omertoso come il nostro al potere giudiziario fa parte del nostro DNA, vogliamo l’avversario preda della folla. Ed ecco che il magistrato inquirente, il tintinnio delle manette ai polsi o l’ergastolo ostativo assumono un fascino unico, buttar via la chiave per vendetta più che per giustizia.
Il cittadino appassionato dei fatti prova allo stesso tempo amore e odio verso il potente di turno, si sale sul carro del vincitore per poi accoltellare Cesare alle spalle. Vogliamo assistere con la nostra divisa presa in prestito ad arresti eclatanti ed essere i primi a scagliare la nostra monetina, siamo figli legittimi di panem et circenses.
Abbiamo imparato sin da piccoli ad idolatrare la figura del giudice eroe, per sentirci a posto con la nostra coscienza nonostante le malefatte, scordandoci il vecchio principio liberale della separazione dei poteri. Liberale, parola fuori moda che è sinonimo di libertà, a noi che la libertà piace cederla per essere protetti dall’alto.
Torniamo invece a tutelarci, nelle nostre libertà individuali, senza scordare che la macchina della giustizia prima o poi può colpire tutti.
Piuttosto che dei festeggiamenti di piazza per la teatrale cattura di un malato terminale, voglio sentir parlare di habeas corpus e di tutela dell’indagato, di garantismo e di diritti del detenuto, di giustizia giusta e di stato di diritto.
Giuseppe La Gala (imprenditore)