La doverosa premessa da cui partire è quella del decreto legislativo 1 del 2 gennaio 2018, Codice della Protezione Civile nel suo ammodernamento, che impone all’art. 18, l’obbligatorietà per tutti i comuni di dotarsi dei piani di Protezione Civile, deliberati dal Consiglio comunale (art. 12 comma 4) e che gli stessi possano essere revisionati periodicamente e aggiornati con Atti del Sindaco, della Giunta o della competente struttura amministrativa, purché inseriti in deliberazione consiliare di approvazione. All’art 18 comma 3 dello stesso decreto legislativo è previsto che il piano di comunale di protezione civile, vada ad essere di coordinamento a tutti gli altri piani di gestione del territorio (PUC, PII, PAI, ecc.).
La G. U. n. 160 del 6 luglio 2021 ha pubblicato la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 aprile 2021 recante gli “Indirizzi per la predisposizione dei piani di protezione civile“ ai diversi livelli territoriali ai sensi dell’art. 18, comma 4 del decreto legislativo n. 1/2018, con l’obiettivo di definire le modalità di organizzazione e svolgimento dell’attività di pianificazione di protezione civile e al fine di garantire un quadro coordinato in tutto il territorio nazionale che favorisca l’integrazione tra i sistemi di protezione civile dei diversi territori.
La corretta stesura di un Piano di Protezione Civile, deve tenere in considerazione i rischi e d i relativi scenari (art. 16) che possono colpire un determinato territorio e le sue caratteristiche con la raccolta di dati e cartografia e attraverso la predisposizione di appositi Scenari di Rischio, valutare quali conseguenze possano essere previste in base alla vulnerabilità conosciuta (Abitazioni, Siti sensibili come scuole e ospedali, Insediamenti Industriali, numero di abitanti e loro caratteristiche: disabilità eventuali, anzianità, bambini).
Purtroppo, a fronte delle disposizioni normative e legislative vigenti ad oggi il Piano di Protezione civile solo raramente ha assunto i connotati di uno strumento preventivo e operativo che possa contrastare la perdita di vite umane e di Beni di un territorio. Nonostante la sua redazione sia propedeutica all’approvazione dei Regolamenti Urbanistici in sede di conferenza di servizio, nonché alla possibilità di richiedere e avere riconosciuto lo stato di emergenza per calamità naturali e/o antropiche, esso rimane, nella migliore delle ipotesi, per lo più relegato a tante buone intenzioni che non trovano però poi riscontro pratico.
Ad oggi in Basilicata, una regione considerata tra le più esposte al rischio sismico e al dissesto idrogeologico, 30 Comuni lucani (quasi tutti ubicati in area appenninica) su 131 non hanno un Piano di Protezione civile (dato verificabile sul sito ufficiale http://www.protezionecivilebasilicata.it/protcivbas/files/docs/10/65/13/DOCUMENT_FILE_106513.pdf), 34 Comuni, tra cui Potenza, hanno un Piano di Protezione civile redatto tra il 2001 e il 2013 (quindi prima del decreto legislativo 1 del 2 gennaio 2018) e solo 30 Comuni hanno realizzato o aggiornato il Piano tra il 2018 e il 2021.
Il dato generale non è confortante soprattutto alla luce degli effetti disastrosi che, soprattutto negli ultimi 15 anni, gli eventi pluviometrici estremi stanno determinando sul territorio. Questo è documentato sia dall’informazione pubblica che da numero consistente di pubblicazioni scientifiche.
La criticità principale nasce dalla evidente sconnessione esistente tra un procedimento pianificatorio a carattere legislativo e una forma di responsabilità implicita che lo stesso procedimento impone alle Amministrazioni rispetto al benessere e alla sicurezza delle Comunità. Non si può pensare di affrontare in forma improvvisata un’emergenza che mette a rischio vite umane e beni essenziali allorquando non si può fare a meno di considerarla, ovvero dopo il suo accadimento. La responsabilità impone un’azione preventiva con un impegno economico che va inteso come un investimento sul futuro della comunità e non come un credito da riscuotere nel breve termine.
Sarebbe necessario avviare forme partecipate di informazione e pianificazione dell’emergenza, verificando la reale affidabilità degli scenari, utilizzati per i Piani di Protezione civile, rispetto alle condizioni in continuo mutamento, come ad esempio quelli definiti dalle frane di nuovo innesco o di riattivazione di frane passate, o dalle aree interessate dagli incendi boschivi, fino alla valutazione della popolazione realmente esposta.
I Piani di protezione civile esistenti andrebbero aggiornati almeno rispetto agli scenari di frana che non sono statici ma in continuo mutamento, e ai dati derivanti dalla microzonazione di I livello, realizzata dalla Regione Basilicata negli ambiti urbani dei Comuni lucani, per verificare quali siano le condizioni di possibile amplificazione sismica locale o di vulnerabilità sismica degli edifici strategici. Quest’ultimo aspetto non è stato quasi per nulla recepito nei Piani esistenti con un opportuno aggiornamento, con la possibile conseguenza di non considerare che alcune strutture e alcuni luoghi, in caso di terremoto, non potrebbero essere considerati sicuri ne assolvere al ruolo affidato (zone di affollamento, vie di fuga, ecc).
In conclusione, oggi con tristezza e un senso di impotenza osserviamo spesso in televisione notizie di disastri naturali che, sia in Italia che in più parti del mondo, devastano città, colture e infrastrutture senza risparmiare vite umane trovatesi esposte a quei rischi naturali, come nel caso del terremoto in Turchia e Siria. Tutto ciò appare distante e lontano, anche geograficamente, da noi e dalla nostra quotidianità, fino a quando non si determinano quelle condizioni che ci fanno diventare protagonisti o spettatori passivi di questi disastri.
Il territorio lucano, purtroppo, ha vissuto e rivissuto più volte queste condizioni negli ultimi anni senza però mostrare una forma di reazione e resilienza adeguata a contrastarle (ricordiamo il caso del borgo rurale di Bosco Piccolo nel Comune di Potenza, scomparso nel 2005 a causa di una frana, o dei casi delle frane di Montescaglioso nel 2015, o dei centri storici di Pomarico e Stigliano).
Ecco, dunque, l’auspicio e la necessità di rafforzare la nostra capacità di essere resilienti per salvare vite umane e beni mobili e immobili, attraverso l’adozione di quelle strategie di pianificazione dell’emergenza e di pianificazione partecipata che oggi, più che in passato, appaiono sempre più imprescindibili, soprattutto in funzione della nostra maggiore vulnerabilità (fisica, infrastrutturale, psicologica e socioeconomica) e diretta dipendenza dai servizi primari.
Di Maurizio Lazzari
Geologo ricercatore CNR ISPC