Viaggio tra misteri, leggende e folklore locale.

Stregoneria, spiriti e leggende rendono la Basilicata un luogo ricco di curiosità e mistero. Molte delle feste
alle quali partecipiamo durante tutto l’anno e specialmente in estate, hanno radici profonde e nascono da una
storia ricca di tradizioni, una storia che ci accomuna tutti.
Il nostro viaggio inizia da una delle figure più controverse della storia.
Megera, masciara, janara, comunque la si voglia chiamare, la figura della strega ha da sempre incuriosito
storici, antropologi e letterati. La sua storia comincia migliaia di anni fa e ha dato origine ad un forte
interesse per la stregoneria, le superstizioni e le credenze popolari.
Tutti almeno una volta abbiamo sentito parlare delle famose streghe di Salem, della magia bianca e della
magia nera e forse ancor di più del malocchio e degli strani, ma altrettanto famosi riti, diffusi in modo
particolare nel sud Italia.

Ritengo che sia una pagina della storia di notevole interesse, che merita almeno un piccolo excursus
cronologico.
La stregoneria, con forme e caratteristiche diverse è sempre esistita. Nella tradizione classica non possiamo
non citare la maga Circe di Omero, ma oltre alla letteratura, le streghe, vere o meno che fossero, hanno
trovato terreno fertile anche nel mondo reale. Nel medioevo bastava poco per essere considerati cultori di
satana e da qui iniziarono la caccia alle streghe, le torture e i roghi. Molte delle donne condannate non erano
neanche delle vere streghe, così come molte delle leggende altro non erano che questo.
Le condanne e la caccia alle streghe non si placano nei secoli successivi nonostante le donne, vittime di
accuse feroci, molto spesso erano solo signore capaci di usare le erbe per creare medicine naturali. Bisognerà
attendere l’ottocento prima che l’idea di strega cominci ad avere un’accezione più positiva. Questo accade
anche grazie a molti autori che parola dopo parola, nelle loro opere, rivalutano la stregoneria e le figure
associate ad essa.

Sarebbe davvero difficile racchiudere in poche righe una storia con radici così profonde, dunque ci
concentreremo solo sul caso della Lucania nel 900.
Con l’età contemporanea si arriva ad una concezione della strega ormai cambiata finanche nel nome: la
masciara o fattucchiera praticava rituali religiosi, aiutava donne disperate a verificare la fedeltà del marito
lontano per la guerra e cercava di capire se la persona che si affidava a lei, avesse o no il malocchio.
Questa figura è fortemente radicata nella cultura tradizionale lucana. La Basilicata infatti vanta un ricco
ventaglio di tradizioni e folklore legato al concetto di stregoneria.
Albano di Lucania durante l’estate si anima con le famose “Notti della magia”. Non una semplice festa, ma
un percorso guidato attraverso cui addentrarsi in un mondo magico e misterioso.
È possibile vedere la proiezione di un filmato nel quale alcune anziane signore parlano in dialetto delle
masciare, di avvenimenti strani e di famosi rituali.
La festa fatta anche di degustazioni enogastronomiche, si trasforma nel suo momento finale, in una piazza
del secolo XVI, riproducendo la scena di una strega sul rogo bruciata in Piazza Mercato in segno di
purificazione.

Ma questo piccolo paese lucano vanta una storia che va oltre una semplice manifestazione.
Ernesto De Martino nel suo famoso “Sud e magia” ci racconta aneddoti, storia e molto altro della stregoneria
nel meridione e tra le tante località prese in esame, particolare attenzione viene data ai paesi della Basilicata
tra i quali compare proprio Albano.
Uno degli elementi più caratteristici di cui si parla è il malocchio, protagonista della breve storia che segue.
La Silvestre (‘A Silviestr) soprannome di Maria Adamo, negli anni 50, racconta di non riuscire ad allattare il
figlio poiché il latte non c’era più. Tutti le dicevano che le era stato rubato dalle ragazze invidiose del paese
che al contrario di lei, non avevano molto latte. La ragazza si rivolse alla suocera che decise di chiamare
Teresina, una vecchia che le avrebbe fatto un’orazione. Teresina andò a casa di Maria e le disse : “ Figlia
mia, questa è pigliata d’occhio”.

Le “visite” per riuscire a capire come mai questo latte sparisse, non finiscono qui. La signora Adamo, con in
braccio suo figlio, decise di recarsi dal famoso Zio Giuseppe. Questo vecchio signore, noto in tutto il paese,
prese delle carte per eseguire una sorta di rito che si concluse con un’esclamazione ripetuta tre volte: “Qui
non c’è niente”. Dopodiché buttò le carte a terra e disse: “Questa non è fattura, ma ‘pigliata d’occhio”. Lo
zio Giuseppe asseriva che il bambino e lei fossero stati colpiti dal malocchio in maniera potente, ma che il
bambino si sarebbe salvato.

Il famoso zio Giuseppe era un nome ricorrente nei racconti delle donne convinte di aver subito una
fascinazione. Era il mago contadino del paese, ma non era certamente l’unico. Gli Albanesi si recavano
infatti anche da maghi e fattucchiere che vivevano nei dintorni del paese.
Il malocchio veniva preso in considerazione anche per molto meno; un semplice mal di testa poteva
diventare sospetto all’improvviso e così ci si recava dalla masciara che, versando semplicemente una goccia
d’olio in un recipiente d’acqua e osservando se l’olio si espandeva o meno, avrebbe diagnosticato una
cefalea di natura magica o fisiologica.
Se parliamo di fascinazione e fatture, non possiamo sicuramente esimerci dal nominare la famosissima
località della quale, secondo la tradizione, non si dovrebbe pronunciare il
nome: Colobraro.

Terra di mistero e iettatura, Colobraro rappresenta un’altra località ricca di tradizioni esoteriche.
La sua fama di paese sfortunato risale ad una leggenda degli anni 40 secondo la quale un lampadario crollò
improvvisamente a seguito di una frase pronunciata da Don Virgilio: “Se non dico la verità, che possa cadere
questo lampadario”.
Tuttavia il personaggio che più di tutti evoca la tradizione magica di questo paese è la famosa masciara
Cattre. Da qui l’idea di ricreare una manifestazione a tema dal nome “Sogno di una notte… a quel paese”.
Sulla scia delle “Notti della magia” di Albano, durante la festa di Colobraro vengono proiettati filmati che
fungono da reperti, vengono distribuiti amuleti magici per ricreare quel clima tradizionale e folkloristico
della nostra terra. Durante la magica serata, come ad Albano, anche a Colobraro si possono incontrare i
monachicchi, che rappresentano un altro elemento folkloristico noto in tutto il sud Italia. Stiamo parlando dei
famosi spiritelli che amano giocare, divertirsi e fare scherzi notturni. Secondo la leggenda, il monachicchio
incarna lo spirito di un bambino morto che a differenza di tutte le altre figure della notte, non vuole
spaventare né fare del male. Ha un aspetto gentile e si diverte a giocare con i bambini. Si narra che durante la
notte si divertisse a legare i peli della coda degli asini e della criniera dei cavalli per poter ridere a crepapelle
dei poveri contadini vittime dello scherzo che, la mattina seguente, avrebbero dovuto sciogliere tutti i nodi.

Uno spiritello dispettoso, ma sicuramente non maligno, perlomeno non in tutte le località lucane. A
Marsicovetere questo spirito bonario, si trasforma in un essere demoniaco, dai tratti decisamente più horror,
con un cappuccio sul capo e la gobba. Si racconta infatti che quest’anima persa, avesse rapito una giovane
donna per farla sua prigioniera lungo una strada conosciuta ancora oggi come “scesa r’u munaciedd”.
Spiriti, spettri e fantasmi si ritrovano in molte altre storie lucane.
Elena Ducas, famosa come Elena degli Angeli, nuora di Federico II di Svevia, visse tutta la vita nel famoso
castello di Lagopesole. Luogo di ricordi felici, il castello diventò per la giovane donna una condanna poiché,
con l’arrivo di Carlo d’Angiò, fu imprigionata proprio tra quelle mura. Si narra che al tramonto, nello
spettrale silenzio che abbraccia il castello, si possa ancora sentire il pianto straziante di Elena e che nelle
stanze della struttura si intravede il suo fantasma che, inconsolabile, vaga per i corridoi. Nelle campagne di
Lagopesole, secondo la leggenda, si aggira lo spirito del marito di Elena, Manfredi, morto nella battaglia di Benevento nel 1266. Come la sua amata, Manfredi vaga attorno al castello. I due amanti si cercano ancora
nella speranza di potersi ricongiungere per l’eternità.

Masciare e spiriti non sono stati però gli unici protagonisti della nostra tradizione popolare. Ancora oggi
molti lucani ricordano la creatura mitica e spaventosa che si aggirava durante le notti di luna piena: il
licantropo. Secondo la leggenda, se un bambino nasceva durante la notte di Natale, era condannato a
diventare un lupo mannaro e per questo le donne cercavano di ritardare il parto il più possibile. Con la
metamorfosi in licantropo, questi uomini dalle sembianze animali, uscivano per strada ululando e
azzannando chiunque si trovasse sul loro cammino. Solo con le prime luci dell’alba riprendevano la loro
forma umana. Essi potevano guarire da questa maledizione con una piccola puntura sulla testa che
provocasse un leggero sanguinamento.

Se il lupo mannaro era sposato, tornando a casa dopo la notte di luna piena, doveva bussare alla porta tre
volte e far sentire la sua voce umana per dimostrare che aveva perso le sembianze di lupo.
Concludiamo il nostro viaggio con una breve leggenda molto nota in tutta la Basilicata che riguarda gli
spiriti dei morti. Proprio durante la vigilia del 2 Novembre, si credeva che le anime dei morti uscissero dalle
proprie bare e si aggirassero per la strada con lo scopo di rivedere i propri parenti. Per assistere a questa
sfilata dei morti, bisognava confessarsi ed era necessaria un’incrollabile fede. A mezzanotte bisognava
mettersi vicino ad una finestra con un secchio pieno d’acqua, tre anelli e due candele accese. Guardando
fisso nell’acqua, tra la fioca luce dei lumi ed il profondo silenzio, si sarebbe potuta vedere la schiera dei
morti.

Insomma la nostra regione pullula di storia, che si parli di quella scritta sui manuali o di opere che
ripercorrono le nostre credenze, tutto fa parte di ciò che siamo oggi. Conoscere il passato ci aiuta a
comprendere il presente, ad incuriosirci verso quelle che sono le nostre radici, a vivere con più
consapevolezza le feste e le manifestazioni alle quali prendiamo parte, ma soprattutto ci permette di provare
un sentimento importante, un elemento irrinunciabile per l’essere umano: il senso di appartenenza.

 

Dott.ssa Miriam Conte

Taggato , , , , , , , , . Aggiungi ai preferiti : permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *